LA FIBROMIALGIA: MALATTIA REUMATICA O PSICOLOGICA?

LA FIBROMIALGIA: MALATTIA REUMATICA O PSICOLOGICA?

Si pensa al reumatismo ogni qualvolta è presente un dolore corporeo a carico dell’apparato osteo-artro- muscolare. La fibromialgia entrerebbe pieno titolo fra le malattie reumatiche, in quanto la sua caratteristica clinica più saliente è la presenza di dolore cronico diffuso. Vi è però una differenza sostanziale: l’assenza di un danno anatomopatologico che giustifichi  la sintomatologia dolorosa.

La fibromialgia ha una sintomatologia caratterizzata soprattutto:

  1. da dolore cronico diffuso, stanchezza,
  2. disturbi del sonno, rigidità muscolare,
  3. disfunzioni cognitive, 

Sintomi tali da indurre il paziente a recarsi frequentemente dal medico. A fronte di una sintomatologia soggettiva lamentata dal paziente come pervasiva che condiziona e modula in termini negativi ogni comune atto della giornata, il medico riscontra un soggetto in apparente buona salute. I più sofisticati e moderni esami strumentali di laboratorio non individuano mai importanti segni di danno organico.

In fondo la fibromialgia è ancora una malattia oscura. Anche se il medico si è documentato, in realtà l’intima essenza della malattia continua a sfuggirgli.

Attualmente l’habitus psichico del fibromialgia è stato sostanzialmente delineato.

  • Si tratta di individui con incapacità di introspezioni e conseguenti cattive letture e gestione delle emozioni.
  • Un’incapacità di abbandonare o meglio modificare uno stile di vita caratterizzato da investimento affettivo, sensi di colpa, eccessivo senso di responsabilità.
  • Persone che devono costantemente appoggiarsi su familiari, amici, colleghi con inconsapevole dipendenza e con continua ricerca di conferma e verifiche dall’esterno per mantenere la propria autostima.
  • Solitamente si tratta di individui che hanno vissuto in contesti depressivi, ad anaffettivi, coercitivi, invasivi, ansiogeni e traumatici.
  • Tali ambienti sono stati in grado di minare in loro la fiducia di base e la sicurezza in se stessi, facendone derivare una personalità apparentemente resistente ma in realtà profondamente fragile.
  • Quando sono esposti ad uno stress cronico, i meccanismi di difesa personale finiscono per cedere.
  • Sono individui che non riescono a impermeabilizzarsi rispetto a situazioni di sofferenza cronica, per cui versano in un perenne stato di allarme interiore che innesca il disturbo dolorifico, con conseguente alterazione dell’architettura del sonno, quindi con aumento della fatica e infine della depressione.

È il tipico quadro di reazione allo stress cronico, in cui, a differenza di quello acuto, le cause determinanti sono sfumate. Coinvolgono la sfera intima dell’individuo e non sono completamente consce, poiché inquinate dai vari adattamenti che la psiche addotta per preservare la propria integrità e la sopravvivenza del soggetto.

Ne deriva un’alterazione dei neurotrasmettitori responsabili, a livello fisiopatologico, nell’innesco e nella persistenza dei sintomi. In pratica, il disagio generato da uno stress cronico indurrebbe inconsciamente l’individuo a proiettare sul corpo le sue conflittualità, così da creare dei sintomi che distolgono la sua attenzione dalla sofferenza psichica.

La malattia è considerata come il risultato dell’interazione tra fattori biologici, psicologici e socioculturali. Si instaurerebbe un meccanismo a feedback positivo in cui gli aspetti biologica influiscono sui fattori psicologici, come l’umore e sul contesto sociale, come le relazioni interpersonali e viceversa. Nessuna delle numerose variabili che lo compongono è in grado da sola di determinare e spiegare la malattia. La complessa dinamica dei fattori in gioco può essere così sintetizzata:

  • Variabili biologiche. Una probabile predisposizione genetica sarebbe responsabile di un frequente riscontro nella fibromialgia di bassi livelli di serotonina e noradrenalina, nuerotrasmettitori che agiscono nelle vie di inibizione endogena discendente del dolore e responsabile di un abbassamento della soglia del dolore.
  • Variabili psicologiche. È evidente che aspetti affettivi, caratteristiche soggettive, emozioni e fattori cognitivi affiancano il dolore. Queste variabili sarebbero coinvolte nell’ elaborazione dello stimolo doloroso e quindi nel modo di percepirlo, a volte con clamorose incongruenze dall’effettivo danno esistente e la percezione dolorosa da parte del paziente.
  • Variabili socioculturali. Le esperienze negative dell’infanzia soprattutto nell’abuso fisico o psicologico, sono eventi spesso presenti nella storia del fibromialgico.  Tale condizione indurrà poi nell’adulto una maggiore vulnerabilità allo stress quotidiano e una maggiore influenza degli aspetti cognitivi, affettivi e comportamentali dell’esperienza dolorosa. La focalizzazione dell’attenzione sul dolore permetterebbe a tali soggetti la distrazione dall’evento traumatico infantile.

Tra le varie figure professionali coinvolte, emerge sempre più quella del psicologo clinico, in grado di contribuire a un modello integrato di trattamento secondo un’ottica psicosomatica.

L’essere umano è un tutto unitario, dove la malattia si manifesta, a livello organico, come sintomo e, a livello psicologico, come disagio. Pertanto non viene focalizzata solamente la manifestazione fisiologica della malattia, ma anche l’aspetto emotivo che l’accompagna.

L’approccio multimodale,

Associa al trattamento farmacologico quello psicoeducativo, è in grado di garantire risultati migliori (Toussaint  et al.2010). Questo approccio, oltre a curare il sintomo, si prefigge lo scopo di diminuire la sofferenza psicologica. La figura del medico continua a mantenere una notevole importanza nella gestione della malattia che può essere associata o secondaria a numerose patologie anche  pericolose. Ne deriva la necessità di formulare adeguate diagnosi differenziali.

L’affezione necessità di un trattamento su più livelli:

  1. psicoeducativo: indicazione sull’igiene di vita e del sonno un’adeguata attività fisica una corretta alimentazione, istruzioni al paziente e alla famiglia per un azione di contrasto al catastrofismo e alla alessetimia.
  2. Una  terapia cognitivo comportamentale.
  3. Metabolizzare la consapevolezza che la fibromialgia anche se in alcuni casi può indurre una sintomatologia particolarmente penosa,  in realtà è una malattia che non provocherà danni all’organismo.

I sintomi che si percepiscono sono reali, anche se  non sono determinati da una malattia organica. I meccanismi e la fisiopatologia delle alterazioni  che ne sono responsabili sono stati sufficientemente identificati. Non è giustificato un comportamento passivo e rassegnato, la fibromialgia non è una malattia incurabile, è un’affezione cronica caratterizzata da remissione e ricadute, ma adeguandosi alle istruzioni degli specialisti (attività fisica, trattamento psicologico, eventuali farmaci)  si può ottenere una condizione di stabile benessere.

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