Scrittura terapeutica

Lenire il trauma con la scrittura 

Dopo un evento traumatico, l’angoscia e le ruminazioni avvelenano spesso l’esistenza.

Mettere per iscritto ciò che si sente e si immagina porta benefici insospettati. Dalla metà degli anni 80 l’uso terapeutico della scrittura trova un’autentica validazione scientifica grazie agli studi pioneristici dello psicologo statunitense Pennen Baker.

Uno dei studi, su 80 persone traumatizzate prevedeva la scrittura di tutti i pensieri legati all’evento per 20 minuti, per 4 giorni consecutivi. Il confronto con il gruppo di controllo ha rivelato una diminuzione significativa di stress e ansia, con minore assenteismo dal lavoro.

La scrittura espressiva nome della tecnica è dunque non strumento per migliorare la salute psichica. Non migliora solo la mente, bensì tutto il corpo, includono per esempio miglioramenti della pressione arteriosa e nel funzionamento del sistema immunitario.

 Come agisce la scrittura?

Gli avvenimenti che fatichiamo a sopportare ci spingono spesso a occultare i pensieri, le emozioni e i comportamenti associati, provocando uno stress permanente, fonte a sua volta di malessere psicologico. Mettere gli eventi nero su bianco, aiutano ad eliminare questa inibizione e a ridurne gli effetti negativi.

Non basta scaricare le emozioni negative, occorre anche raggiungere una certa strutturazione narrativa.

Un allenamento psichico, l’operatore guida lo scrittore  per farlo uscire dalla ripetizione in cui è prigioniero. Una seduta rigorosamente organizzata con un tempo di scrittura e di discussione. Immaginando dialoghi, spesso con esercizi che muovono fortemente l’immaginario, per aggirare le proprie difese psichiche, mettendo in moto la creatività, per l’avvio di un miglioramento della salute mentale e di un allontanamento del dolore.

Esercizi come scrivere tutti i ricordi a cui si riesce a pensare in una mezz’ora, e lavorare poi su quelli slegati dal trauma forniscono alla mente materiale prezioso per  seguire il percorso del pensiero che si ricostruisce, diventando capace di simbolizzare,  tenendo a distanza i problemi. Negli scritti osserviamo anche l’evoluzione di emozioni positive e negative o delle relazioni con gli altri.

 I ricercatori hanno riunito una sessantina di studenti che dopo un trauma, spesso la morte di un parente, soffrivano di certi sintomi, con la tendenza a rivivere gli eventi dolorosi, evitando tutto ciò che li  riattiva. I partecipanti dovevano scrivere dell’evento difficile, in quattro sedute di 15 minuti suddivisi in due settimane. I ricercatori hanno misurato l’evoluzione dei loro sintomi partendo da uno stress post traumatico. 

Sei settimane più tardi,  un miglioramento psicologico si poteva osservare nelle vittime di traumi;  oltre ad aiutare il paziente a uscire dalla ruminazione, riemergeva la riscoperta del piacere nel concentrarsi sull’azione di scrivere e sul modo in cui  ogni parte del suo corpo era implicato. Facilitando il flusso dei pensieri che si depositavano sul foglio senza autocensura per ritrovarsi liberato. A poco poco lo stress e le ruminazioni si attenuavano, riscoprendo una  diversità di attività e di pensieri.

Come gestire l’Ansia

COME GESTIRE L’ANSIA

Innanzitutto le emozioni non “capitano”: sono sempre la conseguenza di ciò che immaginiamo o ciò che ci diciamo mentalmente, vengono influenzate anche dai profumi, sapori, suoni, ecc. ma oggi mi concentro solo sui primi due.

L ‘Esempio di chi deve effettuare un interrogazione o un esame e si chiede: “ Come mai mi sento sempre in ansia?”

Anche se il mio prof. di italiano mi diceva che non si risponde ad una domanda con un’altra domanda, ti voglio far ragionare:

  • Cosa stai facendo per generare quell’ansia?
  •  Cosa stai immaginando?
  • Cosa ti stai dicendo?

Infatti questo è il punto: l’ansia non capita! La generi. Come?

  1. Spostando la tua attenzione nel futuro e pre-occupandoti, ossia occupandoti prima di qualcosa che forse accadrà poi.
  2. La “genialità” di chi si pre-occupa sta nell’immaginarsi come tutto possa andare storto: sbaglio il colpo, il professore mi fa la domanda che non so, il datore di lavoro mi mette in difficoltà, i clienti mi fanno obiezioni a cui non so rispondere, ecc.
  3. Ma non è finita qui. A questo punto caliamo il carico da undici e parte la vocina interna: 

          “e se non sono all’altezza delle aspettative?”,“se mi boccia ho buttato via 8 mesi”“se fallisco oggi non avrò più possibilità in questo ambiente”

      4. Ci sono i veggenti che leggono nella palla di cristallo“so già che andrà male”“tanto quel cliente non comprerà mai”“non riusciremo mai a vincere                  contro di loro in queste condizioni”

Dopo un po’ di queste attività, come dicevo, stranamente si crea ansia…

Allora cosa fare in questi casi?

Ecco tre semplici passi che uso sempre quando la situazione si fa impegnativa.

  1. STOP!

Fermati
Per citare un mio allenatore di pallavolo: “giocare veloce è diverso da giocare in fretta!”. Infatti nella fretta c’è stress, non sei in controllo dei tuoi pensieri. In queste situazioni hai bisogno di fermarti un attimo e:

– se ti stai facendo dei film mentali stupidi, smettila! Rimpicciolisci le immagini come se le stessi guardando dallo schermo del cellulare, mettile in bianco e neroallontanale in modo da vederle a fatica. Sintonizzati su un altro canale! Già che ti fai dei film, mi sembra più furbo guardare quelli che ti piacciono e non quelli che ti spaventano.

2) RESPIRA! 
Cambia la tua postura e prendi un bel respiro profondo: dai ossigeno al tuo cervello. Magari aggiungi anche un bel sorriso e sostanze come la serotonina inizieranno a nuotare nel tuo organismo cambiando decisamente il tuo stato d’animo. Manna dal cielo!

3 ) RISOLVI
Solo a questo punto guarda la situazione da nuove prospettive e focalizzati sulle possibili soluzioni. Invece di subire la situazione, agisci.

Di solito penso al mio collega e amico  che, nelle situazioni critiche, entra nell’identità di un personaggio   e ripete: “Sono il signor Wolf: risolvo problemi!”

SINTOMI GASTRICI

Il grande “No” dello Stomaco chiuso.

Quando arriva un sintomo gastrico diventa difficile fare qualsiasi cosa: nausea, bruciore e digestione lenta, influenzano l’intera nostra persona

Segnali che parlano di emozioni in conflitto: ansia, rabbia, sconforto sono variabili da considerare, per imparare a digerire meglio la vita. 

Lo stomaco si trova nella zona centrale dell’organismo, in collegamento nervoso con il cervello e più in generale con il sistema neurovegetativo e quindi anche con i centri che regolano le emozioni e lo stato d’animo di ogni momento.

Lo stomaco subisce ed esprime le emozioni e i pensieri che non riconosciamo o trascuriamo, ci consente di sentirle come se ci parlassero in modo diretto.

Per comprenderlo dobbiamo tenere presente che la mucosa gastrica è costituita da tessuto epiteliale, strutturato apposta per incontrare il mondo, per entrare in contatto con la realtà esterna. Contengono l’archetipo dell’incontro, della relazione con ciò che è altro da noi.

La mucosa gastrica è fatta per accogliere per far entrare nel nostro corpo qualcosa che sta fuori: il cibo la materia del mondo. È il luogo corporeo in cui si gioca la relazione, percepita come nutriente o come velenosa, nemica e non digeribile.

Possiamo cercare di ignorarlo, ma la sua volontà comunicativa è più forte e ci obbliga ad ascoltarlo.

Uno dei sintomi gastrici più diffusi: il cosiddetto stomaco chiuso, con la sensazione di una totale indisponibilità del corpo a ingerire cibo.

Si manifesta, in momenti e in contesti specifici, ma non in altri. E’ possibile che una persona lo provi quando si trova a tavola con i familiari. Però sente lo stomaco aperto quando è da solo o in compagnia di amici.

Ci sono situazioni in cui lo stomaco si chiude quando occorre partire per le vacanze o sottoporsi a un esame clinico o quando si avvicina un incontro importante.

Ci sono anche i casi in cui lo stomaco è sempre serrato, anche se non si tratta di anoressia.

Tuttavia la chiusura è da prendere in considerazione perchè ci sta dicendo qualcosa di importante. Innanzitutto sta esprimendo un grande rifiuto verso qualcosa. Un rifiuto che evidentemente, non riusciamo o non possiamo dire. 

Lo stomaco chiuso ci dice che siamo intimamente e fermamente indisponibili a incontrare uno più aspetti della realtà che in quel momento, in quel periodo in quel contesto, non ci piace ci disgusta, ci fa paura, ci avvelena.

Insomma per qualche motivo non riusciamo o non possiamo rifiutare.

Pensiamo ai tanti casi in cui le relazioni familiari sono tese e  conflittuali. Il pranzo e la cena possono diventare il momento in cui si esprime, attraverso lo stomaco il rifiuto della condivisione del cibo. Un’avversione verso la polemica e verso quelle relazioni irrisolte, evidentemente dolorose.

Se potesse parlare con il nostro linguaggio, lo stomaco chiuso direbbe “che non ha alcuna intenzione di stare in questa relazione, di sottoporsi a questo trattamento, di condividere il tempo e lo spazio, di affrontarle in questo modo, con queste persone sottoposto a giudizi”.

Questo sintomo raccoglie tanti tipi di rifiuto.

  1. E’ assolutamente necessario non lasciare al sintomo la soluzione del problema, perché esso è soltanto positivo, ma non propone nulla.
  2. Dobbiamo invece tradurre il sintomo e capire bene quale rifiuto si tratta.
  3. Poi individuare come portarlo nella realtà in modo sano e lineare, per risolverlo.
  4. Tradurre un sintomo, quando questo è leggibile, non è mai soltanto un fatto mentale, ma deve diventare esperienza concreta di cambiamento. 

MALATO IMMAGINARIO?

PSICOSOMATICA

Capita di sentirsi dire dai medici : ” alla luce delle visite e degli esami effettuati, lei non ha niente..sarà psicosomatico

Com’ è possibile, che non emerga nulla, quando in realtà il sintomo rimane: mal di testa, mal di stocamo , vertigine ecc

La medicina psicosomatica si occupa proprio in queste situazioni di confini, in cui fattori organici e psicologici si attivano e si intrecciano.

Occorre comprendere che in questi disturbi “senza causa“, esiste una componente di tipo psico emotivo. Non significa che sia l’unico motivo, ma alcuni stati di tensione psichica e di conflitto interiore o relazionale, attraverso il sistema neuro-immuno-endocrino, possono influenzare la funzionalità di alcuni organi o apparati.

Molte persone tendono ad ignorare i sintomi, una volta che visite ed esami abbiano appurato che non c’è nulla di patologico.

Ma si tratta di un errore.

  • Innanzitutto perché il fatto che non ci sia una spiegazione clinica ai sintomi non significa che non vi sia una causa, magari nascosta di natura psichico ambientale.
  • Infatti la presenza di sintomi indica che, comunque, il corpo è in difficoltà.
  • Fare finta di niente quindi rischia di peggiorare la situazione, sottoponendo l’organismo a una notevole stress e ponendo le basi per una maggiore organicità dei sintomi stessi. 

 Si ricorda che l’atteggiamento “del far finta” può essere, in diversi casi, la vera causa del sintomo, che vuole esprimere, con la sua presenza, la ribellione dell’intera nostra persona a un modo molto innaturale di trattare se stessi, oltre che irrispettoso dei propri limiti e caratteristiche.

Per uscire da questa situazione bisogna innanzitutto legittimarsi.

Il disturbo esiste, non è un’invenzione. Bisogna trovare il modo di curarlo, il fatto che le visite e gli esami non abbiano evidenziato nulla, significa che non c’è un danno organico .

Infatti esistono sintomi, che derivano da alterazioni funzionali spesso dovute a un sistema nervoso, immunitario e endocrino che lavorano al limite della norma, per così dire “al confine”.

Quindi basta poco per produrre dei sintomi ma anche per farli passare, in modo intermittente. In pratica ci sono situazioni in cui, finché un sintomo si manifesti, non occorre una causa riconoscibile.

Fondamentale riconoscerlo per avere una visione obiettiva della propria situazione.

Tali problematiche psichiche possono riguardare situazioni di vita specifiche: la coppia, relazioni parentali o amicali, oppure il rapporto con lo stile di vita, il lavoro. Possono scegliere nel corpo e alterare la funzione di un organo.

Possano usare lo schema simbolico racchiuse in quell’organo in quella funzione per dare forma al problema che viene trascurato.

LOMBOSCIATALGIA: Cosa fare?

LOMBOSCIATALGIA

Il dolore lombare è un gemito, a volte è un grido.

Una parte di noi che non riesce più a sostenere a sopportare qualcosa: un lavoro troppo pesante, una situazione problematica di tipo esistenziale, familiare, lavorativo a cui non ci si sottrae, di solito per un rigido senso del dovere o per un’incapacità di dire di “no”.

La tendenza a sottoporsi a sforzi eccessivi si associa spesso alla scarsa conoscenza dei propri limiti e a un abuso delle proprie risorse.

Vi è una percezione alterata delle forze, un atteggiamento portato al sacrificio basato anche sul senso del dovere eccessivo.

Il bel noto colpo della strega nasce da due possibili situazioni: un movimento maldestro in un momento in cui ci si dovrebbe fermare, nel secondo caso uno sforzo eccessivo, il sollevamento di peso, un insopportabile carico di responsabilità di cui non ci liberiamo per eccesso di zelo o di dovere.

La discopatia segue proprio un periodo di rigida e talora testarda sopportazione di eventi affrontati senza elasticità.

Il disco schiacciato (degenerazione discale) o che esce dalla sua sede (ernia) esprime la difficoltà a usare la flessibilità e l’adattamento. In generale, questo atteggiamento va a scapito del piacere. La libido si blocca nelle radici nervose deputati alla sessualità che escono in parte  proprio dalle ultime vertebre lombari.

Altre volte alla base del colpo della strega è presente una visione moralistica dell’eros. Le fantasie le pulsioni, per cui si cerca di difendersi con la contrattura dei muscoli lombari. Può essere anche un tentativo di controllare o gestire l’attrazione sessuale, per bloccare sul nascere una fantasia di tradimento.

Cosa fare?

Va cambiato l’atteggiamento: meno rigidità uguale meno sofferenza

1. Iniziare a rallentare.

2. È importante ricordare che il dolore non va eliminato con i farmaci, prima di sapere di che cosa si tratta,

L’ intervento principale sta nel modificare qualcosa nelle proprie abitudini la lombosciatalgia chiede di fermarsi quantomeno di rallentare: nei ritmi oppure nei modi, in uno o più ambiti deve vivere.

Assecondiamo tale suggerimento, individuando che cosa ci sta sovraccaricando negli ultimi tempi a che cosa vorremmo intimamente sottrarci.

3. Cerca il piacere. 

Vanno ritrovate delle parole chiavi: il rispetto e la complicità con se stessi, che nascono dalla conoscenza reale dei propri limiti e risorse.

Tuttavia, è necessario familiarizzare:

anche con le azioni semplicemente piacevoli, dimenticate, sganciate dall’utilità dalla produttività sociale e familiare.

IPERTENSIONE

IPERTENSIONE.

 IL SANGUE CHE PREME 

Un controllo mentale eccessivo mette l’organismo in una condizione di pressione interna. Il sangue, simbolo per eccellenza delle passioni, si fa portavoce.

LA PERSONALITA’ DELL’IPERTESO

Tutto o niente, senza sfumature: una modalità che porta in zona rischio.

Le persone ipertese hanno almeno tre fra le seguenti caratteristiche:

  • Tendono a un attivismo continuo,
  • Reagiscono con l’azione alle difficoltà della vita e ai problemi psicologici
  • Sono legate ad aspetti pragmatici e concreti dell’agire

In generale gli ipertesi tendono a nascondere le proprie emozioni:

Cercano di non commuoversi anche quando sono da sole.

Nei rapporti affettivi si aprono completamente oppure si chiudono totalmente: la modalità tutto niente si presenta anche quando cambiano idea su persone e situazioni.

Spesso l’iperteso testimonia un approccio maschile alla realtà, (intesa in senso simbolico, ricordando che tutti abbiamo una parte maschile e femminile). Predilige l’attività alla passività e appare come un soggetto sanguigno.

La parola chiave per comprendere la dimensione simbolica dell’ipertensione è controllo, meglio ancora ipercontrollo.

TRAUMA

L’IMMAGINAZIONE NELLA PSICOTERAPIA DEL TRAUMA

Il terapeuta chiede al paziente:

Di pensare ad un evento traumatico vissuto nel passato che ancora ha un impatto doloroso e limitante sulla vita quotidiana. 

1. Concentrarsi su un’immagine rappresentativa o dell’episodio nella sua interezza o nella sua parte più disturbante. 

2. Identificare un’affermazione che esprima una convinzione negativa o un’autovalutazione disadattiva associata  all’immagine.

3. Riferire ciò che sente a livello viscerale, corporeo.

 Una cognizione che rappresenta l’interpretazione che il paziente ha di se stesso nel momento attuale non una mera descrizione

Le cognizioni negative 

Quali sono le convinzioni auto svalutanti che possiede su se stesso in relazione all’ evento traumatico? 

Le cognizioni negative comprendono informazioni del tipo “sono cattivo, non valgo nulla, sono in capace di avere successo..”.

Vengono definite come un’autovalutazione che le persone fanno nel momento presente.

Quando il paziente richiama alla mente il ricordo di un trauma , il terapeuta potrà verificare il livello di disturbo sperimentato attualmente dall’individuo.

Se il paziente continua a vedersi in modo inadeguato , dimostra che il ricordo non è stato risolto.

Tali valutazioni sono gli obiettivi primari della terapia. Se un paziente ha difficoltà a verbalizzare una cognizione negativa può rivelarsi utile suggerirgli alcuni esempi che, secondo l’esperienza clinica, sembrano adattarsi bene al suo caso.

Ecco alcuni esempi: 

“non valgo nulla.. c’è qualcosa di sbagliato in me… sono una persona cattiva… sono sporca.. non sono degno damore… sono in pericolo.. sono impotente… non ho il controllo… non posso avere successo”. 

Le cognizioni Positive

La fase successiva sarà dedicata all’identificazione della cognizione positiva.

Con l’attribuzione di un punteggio da uno a sette da completamente falso a completamento del vero

Il punteggio sulla scala dovrebbe essere assegnato in base a quanto il paziente percepisca la cognizione positiva come vera e credibile non alla sua verità oggettiva.

Lo scopo dell’identificazione di una cognizione positiva desiderata è stabilire un punto di arrivo per la terapia, stimolare l’attivazione delle reti neuronali alternative adeguate e offrire al paziente una condizione di base per valutare i progressi fatti.

Ovviamente rappresentare una cognizione “positiva ma falsa” sarà inadeguata per un efficace rielaborazione con la terapia.

Al momento di sviluppare la cognizione positiva è bene insegnare al paziente a fare un’affermazione su di sé e che comporti un controllo interno.

I pazienti propongono spesso affermazioni relative a fenomeni che vanno aldilà del proprio controllo. È bene fornire ai pazienti degli esempi adeguati, mostrando come è impossibile assicurarsi della veridicità di asserzioni come “i miei figli devono stare sempre bene”. Oppure “Mi amerà per sempre “non è una cognizione positiva perché non è possibile un controllo sui pensieri e sulle azioni degli altri.

Cognizioni positive adeguate per esempio: “Sono in grado di gestire questa situazione, posso fidarmi di me stesso, posso agire in modo responsabile“. Infatti offrono al paziente una ridefinizione delle proprie capacità.

Per il raggiungimento di un senso di valore personale di equilibrio indipendentemente dalle forze esterne, senza rifugiarsi  nella razionalizzazione o in false speranze per il futuro.

Le cognizioni positive che possono essere ragionevolmente identificati sono affermazioni: “è una cosa che appartiene al passato, ho fatto del mio meglio, ora ho la possibilità di scegliere.” 

“Posso imparare da quello che è successo”, in questi casi il paziente si riconosce un livello adeguato di rischio e di responsabilità per i propri comportamenti passati e l’enfasi è posta sulle azioni presenti e future.

Aiutare i pazienti a identificare una cognizione positiva costituisce una fase importante della terapia. La capacità di sviluppare una prospettiva alternativa rispetto al trauma, esprimendo in un linguaggio ragionevole, offre una speranza di fuga dal dolore dall’autodenigrazione.

Se un paziente presenta difficoltà a verbalizzare una cognizione positiva è bene applicare  una delle seguenti affermazioni: ho fatto del mio meglio e qualcosa che appartiene al passato, ho imparato da ciò che è successo, al controllo, sono degno damore, sono una brava persona, ora la passività di scegliere, posso avere successo, sono in grado di affrontare la situazione, ora sono al sicuro.  

L’obiettivo della terapia: aiutare l’individuo a raggiungere una ridefinizione di sé in termini positivi.

Dopo aver elaborato il materiale disfunzionale più antico, la fase successiva del trattamento, si focalizzerà sull’associazione intenzionale della cognizione positiva alle informazioni che prima erano disturbanti.

Si lavorerà per incorporare la cognizione positiva all’interno delle reti mnestiche, contenenti il materiale da modificare. Quando l’informazione verrà elaborata,  riattivata, emergerà a livello cosciente in associazione alle cognizioni positive dominanti.

Tali connessioni, permetteranno a tutte le informazioni relative a risultati positivi di associare il materiale precedentemente traumatico.

Imparare a riconoscere i rischi per la salute

Rischi per la salute.

Uno stato di tensione e di allerta costante può favorire :

 

  1. Artrosi lo stato di tensione psichica costante riverbera in una tensione muscolare costante che nel tempo modifica la cartilagine articolare. 
  2. Problemi surrenali. L’attivazione continua dello stato di allerta può indurre surreni a produrre cortisolo in modo costantemente superiore alla norma. 
  3. Problemi alla tiroide. A forza di avere un metabolismo mentale troppo veloce, si finisce per influenzare anche quello fisico.
  4. Ipertensione arteriosa L’allerta costante richiede un maggiore afflusso di sangue al cervello, che richiede a sua volta un aumento della pressione.

LA GUIDA PRATICA

  • Sfoga gli eccessi di energia. Spesso questa forma d’ansia si accompagna un accumulo di energia fisica che non scarichiamo e in generale a una certa trascuratezza nella cura dello stato di forma dell’attività fisica. Da evitare assolutamente la sedentarietà. Assai utile impostare un programma anche solo di camminate giornaliere. 
  • Serve una riorganizzazione più prudente del tempo, che tenga conto della fattibilità e delle caratteristiche personali.  Non ci rendiamo conto che il programma della giornata della settimana e quindi lo stile di vita e ai limiti dell’impossibile e genera uno stato di stress continuo.
  • Aumenta le attività piacevoli. L’ansia cronica è costituita anche da un’energia psicofisica legata al principio del piacere. Un’energia che ha bisogno di prendere forma, nei modi a noi più adatti. Non commettiamo l’errore di pensare che tale energia possa essere troppo a lungo ignorata o trascurata, perché si farà comunque sentire , appunto come ansia.

Come superare il dolore di un abbandono

IL DOLORE PSICOLOGICO DELL’ABBANDONO

Il nostro occhio è troppo proiettato sull’esterno: “ Lui o lei mi ha lasciato, perché l’ha fatto? Non mi do pace?”

Aggrapparsi al passato ci rende vulnerabili e rende cronico il dolore.

 Ogni abbandono ripulisce l’anima e apre le porte a un nuovo inizio. 

La prima cosa da capire  è che quando veniamo lasciati, in realtà siamo noi che lasciamo un immagine di noi stessi che non è più funzionale. 

La sofferenza diventa  una fase naturale: 

  • Possiamo attivare uno sguardo interiore che percepisce i propri stati interni, facendo un vuoto senza giudicare. 
  • Altrimenti  il dolore continuerà a lungo, ciò che ci farà soffrire non sarà l’evento in sé, che è passato, ma l’orgoglio, cioè il nostro aggrapparci a quell’immagine di noi stessi ormai morta. 
  • Niente è per sempre. Tutto ciò che ci capita ha un valore funzionale. 

Anche l’abbandono: ha una funzione evolutiva, trasformativa.

Quando siamo ancorati alla nostra idea comincia l’inferno, perché rendiamo reale ciò che non è reale e nell’irreale non possiamo trovare soluzioni. Eppure la vita  è fatta di abbandoni: Il feto deve abbandonare la placenta iniziare a respirare poi camminare con le proprie gambe. 

L’idea di amore perenne è una malattia. Rendendolo permanente lo rendi artificiale. Impara a cedere. 

Chiediti :”Che rapporto era diventato se non ti sei nemmeno accorto che non gli piaci di più?” Vuol dire che il tuo sguardo era assente, era fissato altrove, sull’idea di un rapporto ideale. Quindi è una disperazione omologata. È una ferita del l’Ego. Ma è una ferita che prepara il prossimo sviluppo, se ci concediamo di accoglierla. 

Il dolore dell’abbandono arriva per spazzare via un identità che non ti appartiene, ti costringe a entrare in rapporto con le tue radici, con la parte di te che non vedi, che vive nel buio e ti crea. 

Se affidi la tua felicità a qualcuno ti perdi: l’abbandono ti fa riprendere in mano te stessa.

Se stai bene solo perché stare con qualcuno, allora si che c’è un problema!

 I disagi per fare il loro lavoro hanno bisogno della nostra resa. 

Non stai male perché lui ti ha lasciata, stai male perché il dolore in realtà ti libera da una relazione che ormai ti aveva stancato hai bisogno di trovare la tua nuova identità. Arrenditi e tutto inizierà a muoversi

Un Pronto soccorso per i disturbi psicologici

Un pronto soccorso per i disturbi psicologici.

Un’emergenza psicologica 

Può capitare, dopo un trauma un lutto, una delusione amorosa o una semplice giornata difficile, di essere abbattuti. Non riuscire a trovare risorse per riemergere dallo scombussolamento. 

Lo studio della dott.ssa Gussoni Nicoletta, unisce le tecniche della psicologia strategica e del benessere, finalizzata all’acquisizione delle risorse necessarie per gestire le crisi emotive anche in modo autonomo. 

Il servizio si rivolge a diverse tipologie di pubblico. 

  • Il destinatario principale è la persona a cui è successo di recente qualcosa di sgradevole: interruzione di una relazione, lutto, delusioni, litigi, incidenti, mobbing, bullismo, aggressioni perdita del lavoro.
  • Persone che hanno vissuto una giornata difficile perché si sentono invasi da ansia, rabbia o tristezza  non sanno come gestire l’emozione. 
  • Persone che stanno bene ma desiderano  usufruire di uno spazio e di un tempo di relax fisico e mentale. 

Non occorre per forza aver subito un trauma per rivolgersi al servizio di emergenza. 

  • Si può anche scegliere di effettuare un colloquio per rilassarsi.
  •  Con la possibilità di imparare esercizi su misura di rilassamento per prolungare gli effetti delle sedute anche a casa. 
  1. Il pronto soccorso interviene durante lo stato di crisi, ma le sedute servono anche a rendere i pazienti autonomi nella gestione delle emozioni.

Si insegna a trasformare la rabbia, l’ansia la paura il dolore in emozioni più gestibili, essendo stati passeggeri fisiologici, si possono modificare, imparando delle tecniche appropriate. 

2. L’intento è creare una cultura dell’aiuto psicologico più vicina al relax e all’autoefficacia. 

  • Portando la psicologia pratica all’interno e al servizio della quotidianità con tutti i suoi stati emotivi di alti e bassi. 
  • Per differenziare l’idea sanitaria del “guarire” dal concetto più gratificante umano di “stare bene”.

Non si vuole sostituire e opporsi a un intervento psicoterapeutico strutturato e ordinario. 

Anzi, in parte si tratta di una prevenzione rispetto al consolidamento di disturbi conclamati, in parte può generare inserimenti a percorsi psicoterapeutici più strutturati. 

È possibile prenotare le sedute da effettuare sia in presenza che on-line, con una durata di 45  minuti .