Tutor per DSA e difficoltà di apprendimento

Le difficoltà di apprendimento interessano uno specifico dominio di abilità :lettura, scrittura, calcolo, lasciando inalterato il funzionamento intellettivo generale.

Vengono definiti Disturbi Specifici dell’apprendimento e  classificati come dislessia, disortografia, disgrafia, discalculia.

Presentano anche difficoltà di memoria, concentrazione e disturbi del linguaggio più o meno evidenti.

A questi si aggiungono i BES, ossia quella fascia di studenti che presentano un funzionamento intellettivo limite che impatta tutte le materie scolastiche.

La figura del tutor dell’apprendimento, può  supportare in modo specialistico e competente i bambini e ragazzi con già un inquadramento diagnostico.

La capacità di leggere e tradurre in strategie operative, necessaria al fine di costruire un metodo di studio ad hoc per il ragazzo e dall’altra comprendere quali strumenti compensativi (elettronici, mappe, sintesi vocali…) è preferibile adottare rispetto ad altri.

 Tutor svolge il ruolo di facilitatore e guida per i processi di apprendimento, di promozione dell’autonomia e di mediazione nei rapporti famiglia-scuola.

 

Ruolo del Tutor

 

– La presa in carico emotiva del bambino e della sua famiglia;

– Mantiene i contatti e aggiorna  la famiglia e la scuola (ruolo di mediatore);

– Strategie metodologiche, didattiche e forme di interazioni per alunni DSA: intervento sulla prestazione, sulle abilità dominio-generali, interventi strategici e meta-cognitivi.

 

 

Apprendimento della lingua scritta

– Strumenti e strategie per leggere;

– La comprensione del testo: strategie per favorire il processo di comprensione;

– Come affrontare la stesura di un testo;

– Esercitazione pratica sugli strumenti informatici compensativi (sintesi vocali) per facilitare la lettura e la scrittura.

 

Apprendimento della matematica

– La discalculia e l’area logico-matematica;

– Strumenti compensativi

– Strategie di studio e modalità di apprendimento nell’area logico-matematica

– Modalità di approccio e strategie per la soluzione del problema aritmetico e del problema geometrico.

 

Lo studio: come affrontarlo

– Metodo di studio: fasi dello studio efficace e difficoltà DSA. Costruire un proprio metodo di studio;

– Mappe: dalla teoria alla pratica delle diverse tipologie: quando e come usarle;;

– Esercitazione pratica con strumenti informatici per la costruzione di mappe delle tipologie apprese con difficoltà crescente in diverse materie di studio.

 

Lingua straniera: come affrontarla

– Apprendimento delle lingue straniere , difficoltà e strategie;

– Strumenti compensativi per lingue straniere e  come usarli.

 

 

 

Difficoltà dei genitori con i figli.

DIFFICOLTA’ NELLA RELAZIONE CON I FIGLI

Perché abbiamo con i nostri figli gli stessi comportamenti che da bambini ci hanno fatto soffrire?

Come liberarci da vincoli del passato che continuano a condizionarci nel presente?

Spesso i traumi irrisolti si trasmettono inconsciamente da una generazione all’altra. Anche se rimangono nascosti dietro un apparente adattamento alla vita quotidiana, a volte riemergono in maniera drammatica.

Un trauma irrisolto può generare nella persona che lo ha subito uno stato di inquietudine e di ansia che si trasmette al figlio, il quale assorbe le tensioni emotive sottese senza essere consapevole della causa che le ha generate.

Un modo per uscire da un trama è proprio quello di non consentire che resti un segreto, e come tale continui a riemergere di tanto in tanto con tutta la sua carica di angoscia e sofferenza. Si tratta di appropriarsi di un esperienza, di assorbirla e per quanto è possibile “digerirla” anche con l’aiuto  di una psicoterapia.

Basandosi sugli studi più recenti nel campo della neurobiologia interpersonale;

  • le prime interazioni del bambino con le figure di riferimento hanno un impatto diretto sulla struttura e sul funzionamento del cervello.
  • Un attaccamento sicuro nei confronti di un adulto in grado di rispondere alle richieste primarie del bambino è di fondamentale importanza per il suo sviluppo cognitivo ed emotivo.
  • Si tratta, per i genitori, di non ripetere modelli di interazione inadeguati, non compatibili con le relazioni di cura e amore immaginate per i propri figli.

Quindi le più recenti scoperte scientifiche, evidenziano quanto l’esperienze infantili influenzano il modo di essere genitori e rilevando che il miglior “predittore” della sicurezza dell’attaccamento di un bambino al suo caregiver è il modo in cui l’adulto ha dato un significato alle proprie esperienze infantili.

In quest’ultimo decennio, più di diecimila persone e i loro figli appartenenti a un’ampia gamma di culture e ambienti economici  e sociali sono stati studiati, e i risultati di tutte queste ricerche hanno dimostrato ulteriormente l’efficacia di questo stile genitoriale: dare un senso alla nostra vita è il miglior dono che possiamo  fare ai nostri figli e a noi stessi.

  • L’attaccamento sicuro non è altro che un tassello di un grande puzzle evolutivo che comprende molti fattori che influenzano il modo in cui i nostri bambini crescono negli anni dell’adolescenza e dell’età adulta.
  •  l’attaccamento è un fattore che noi in quanto genitori, possiamo influenzare direttamente grazie a questa idea: non è ciò che ci è accaduto da piccoli il fattore cruciale, è il significato che abbiamo attribuito a come queste esperienze hanno influenzato la nostra vita.
  • Quando diventiamo genitori, portiamo con noi elementi del passato che influenzano il nostro modo di entrare in relazione con i nostri figli.
  • Esperienze non completamente elaborate possono dare origine a questioni non risolte o lasciate in sospeso che si riflettono nel rapporto con i nostri figli. Spesso assumono la forma di forti risposte emotive, comportamenti impulsivi, distorsioni percettive o sensazioni fisiche.

Le questioni non risolte sono simile a quelle lasciate in sospeso, ma sono più gravi ed esercitano un’influenza più profondamente disorganizzante sia sulla vita interiore sia sulle relazioni interpersonali. All’origine di situazioni non risolte sono spesso esperienze molto intense, che comportano sentimenti di impotenza, disperazione, perdita, terrore e a volte la sensazione di essere stati traditi.

A questo proposito possiamo riprendere l’esempio della separazione, ma in circostanze più estreme. Se per un lungo periodo di tempo un bambini viene affidato in maniera disordinata alle cure di diverse persone perché la madre è ricoverata in ospedale, è probabile che il bambino sviluppi un forte senso di perdita e disperazione. Condizioni che prevedono una separazione potranno anche in seguito continuare a generare ansia  e in età adulta potranno ridurre le capacità del genitore di gestire la separazione dai propri figli. A causa della brusca interruzione di suoi processi di attaccamento e della mancanza di supporto, è possibile che un genitore con una storia di questo tipo incontri delle difficoltà nel relazionarsi con i propri figli.

Consapevoli di questa importante scoperta scientifica, è stato creato un approccio che i genitori e i caregiver possono utilizzare per ottimizzare non solo le relazioni con i bambini di cui si prendono cura ma anche le relazioni con altri adulti .

Un approccio  al ruolo di genitore, seguito dalla dott.ssa Gussoni Nicoletta, che ha come principi fondamentali:

  • la comprensione interna e la relazione interpersonale

Elementi essenziali della relazione genitore-figlio sono:

  • Consapevolezza
  • Continua disponibilità ad apprendere
  • Flessibilità di risposta
  • Capacità di percepire le menti
  • Gioia di vivere

L’adolescenza e le diete: come intervenire

L’adolescenza e le diete “fai da te”

Molto spesso le adolescenti si definiscono in sovrappeso, si vedono brutte e vorrebbero seguire una dieta molto rigida per dimagrire. È vero che, specialmente oggi, molte ragazze arrivano all’adolescenza in leggero sovrappeso,  ma è altrettanto vero che molte altre sono in realtà in forma, o addirittura sono magre, ma ugualmente si vedono grasse e si sottopongono perciò a pericolose diete “fai da te”.

Il fenomeno di cui parliamo non è un disturbo dell’alimentazione come l’anoressia o la bulimia, ma un problema di autostima: una forte insicurezza che va al di là dell’aspetto fisico. Quando il peso-forma diventa un pensiero ossessivo, un ostacolo alla vita di relazione, siamo di fronte a un vero e proprio complesso che affonda le radici in una fase di crescita in cui l’identità e la consapevolezza di se stessi sono fragili, mentre il corpo, in rapida trasformazione, è spesso goffo e sgraziato.

Come intervenire quando una ragazza è magra ma si vede grassa ?

È inutile tentare di convincere un’adolescente che non è in sovrappreso: aiutiamola piuttosto a cercare davanti allo specchio quello che a lei piace maggiormente di sé per valorizzarlo al meglio.

Incoraggiala a seguire le sue passioni

Manteniamo la pazienza e la fiducia esattamente come se avesse la febbre o un’altra indisposizione passeggera. La cosa più importante è aiutarla a prendere consapevolezza del suo valore, spostando l’attenzione dal cibo alle passioni, alla loro unicità, risvegliando il  talento.

Silenzio: non si parla di cibo!

Se non vuole mangiare la pasta, inutile insistere, l’importante è che assuma altri carboidrati. Fuori dai pasti di cibo non si parla se non in termini oggettivi: “Il calcio ti serve per le ossa e per i denti, scegli tu come assumerlo: latte o yogurt?”

Spontaneità a tavola

Il modo migliore per tenere sotto controllo la sua alimentazione è che la famiglia mangi tutta assieme. Evitiamo discussioni o critiche insistite sul modo in cui mangia, soprattutto no ai silenzi pesanti. Lasciamola scegliere gli alimenti che preferisce, seguendo magari la tabelle consigliate da un nutrizionista.

Come intervenire quando hanno qualche chilo in più?

Più lottano con se stesse alla ricerca del peso ideale, più nelle adolescenti aumenta la voglia di trasgredire. Se, invece, si dedicano a un’attività interessante, la fissazione sul sovrappeso e il desiderio di mangiare passeranno in secondo piano.

Niente restrizioni dietetiche rigide

L’organismo delle adolescenti ha un fabbisogno diverso da quello dell’adulto; ecco perché bisogna essere molto cauti con le diete ed è essenziale che le nostre figlie adolescenti vengano seguite da un nutrizionista. Consigliamo loro di fissare un colloquio con lo psicologo e un dietologo e lasciamo che sia l’esperto a dire come e cosa devono mangiare…

Trasformare i difetti in risorse

Le gambe non sono perfette come vorrebbe ma ha un bel decolletè; lei però vede solo i difetti e si sente sempre inadeguata e in sovrappeso.

Aiutala a valorizzare i suoi punti di forza, a trovare uno stile che la distingua da tutte le altre.

Come parlare agli adolescenti intransigenti

Come parlare agli adolescenti intransigenti

Fino a ieri si chiamava new generation: i nuovi adolescenti che si affacciavano alla vita, 10-15 anni fa, in un mondo tecnologico molto diverso da quello delle generazioni precedenti, con possibilità impensabili anche solo vent’anni prima. Ma tutto cambia sempre più velocemente e oggi per questa fascia di età è già stato formulato un nuovo nome, cambiando solo una vocale: now generation.

Sono le parole più adatte per descrivere l’ adolescenza attuale: la generazione dell’adesso.

Figli intransigenti

La tendenza a non saper modulare le richieste e le opinioni, tipica dell’adolescenza, è diventata nel giro di pochi anni una vera e propria intransigenza verso il mondo adulto e più in generale verso la vita. Sono i cosiddetti ” figli-padroni” che, chiusi in se stessi e al contempo aggressivi, tengono in scacco intere famiglie. Non parlano di sé, non gli si può chiedere niente, non si interessano della famiglia né della società, pretendono di continuo. Come i padri-padroni di un tempo, non vogliono sentire ragioni: criticano, urlano, comandano e hanno scatti d’ira molto forti.

L’ adolescenza di oggi è “arrabbiata a priori”. Ce l’ha con tutto e tutti: con igenitori, con le istituzioni, col sistema, con qualsiasi autorità. Ma non sa il perché. Sono arrabbiati perché non hanno un confronto reale e costante con gli adulti, perché avrebbero bisogno di un “drago” sano e concreto da affrontare, ma non c’è. Saperlo incarnare in modo adeguato è il compito maggiore degli adulti. E se ci connettessimo di più con loro invece di lasciarli “on line” per ore e ore? E se comprendessimo che “realizzare noi stessi” significa anche avere un rapporto vero con i nostri figli?

Identikit del figlio padrone

–    Sfida tutto a muso duro (specie dai 14 ai 25 anni)

–    Appare sempre imbronciato, non sorride mai (in casa).

–    Critica e accusa i genitori, spesso senza veri motivi.

–    Non sa discutere e ha frequenti scatti d’ira.

–    È in conflitto totale col padre, alterno con la madre.

–    Prova sfiducia verso il mondo adulto.

–    Ha un’enorme avversione per l’ordine costituito.

Come comportarsi con un figlio “difficile”

– Aiutate la loro creatività.

I figli non sono vasi vuoti da riempire. Al contrario, hanno ognuno un talento da esprimere. Ma se non trovano intorno a sé un terreno adeguato per farlo, finiscono per implodere. Negli adolescenti più problematici quindi, la ribellione è un segno positivo di vitalità. Invece di condannarla, i genitori devono ascoltarla, perché anche il figlio impari col tempo a gestirla e usarla per trovare la propria strada nella vita.

– Non dategli consigli

Non li ascolteranno mai. Quando sarà in difficoltà forse verrà da voi, o da uno di voi. È lì che potete aiutarlo. Senza criticarlo, evitando il fatidico “te l’avevo detto”, fatelo parlare. Chiedetegli come si sente, di cose sente bisogno. Poi parlatene senza esercitare autorità. Sarete autorevoli.

– Nascondete l’ansia

Certo, la vostra preoccupazione lo fa sentire importante e amato, ma in un modo che non è sano. Non mostrate che siete in ansia per lui, né che state soffrendo. Sarà più facile anche per lui cercare un dialogo diverso.

– Usate sorriso e ironia

Anche se costa fatica, portate un po’ di leggerezza: qualche scherzo, battute, sorrisi. Ironia e autoironia. Se vi vede ridere, si sentirà spiazzato e incuriosito.

COME UTILIZZARE I RIMPROVERI

I rimproveri sono feed-back, ossia un’informazione che stiamo dando al nostro bambino sul suo comportamento: “Guarda che quello che stai facendo non va bene”. Intesi in questo senso i rimproveri sono uno degli strumenti più immediati e validi di cui possiamo servirci per educare i nostri figli.

Essendo accompagnati da un tono risentito e da un’espressione accigliata costituiscono anche una punizione: “Se fai così non mi piaci”; ecco perché per i bimbi più piccoli, molto sensibili alla nostra approvazione, essere rimproverati costituisce anche un piccolo affronto.

  • Fanno male alla loro autostima? Fatti nel modo giusto, NO
    I problemi che i rimproveri pongono ai genitori sono essenzialmente due: il primo è la loro inefficacia. Per molti dei nostri bambini un rimprovero entra da un orecchio ed esce dall’altro. Il secondo punto è il dubbio che siano controproducenti: è vero che fanno male alla loro autostima? Di sicuro il ricorso eccessivo e improprio ai rimproveri può sortire un effetto svalutante sia sul bambino sia sul genitore: se siamo costretti a riprenderli continuamente significa che non siamo capaci di esercitare quel minimo di autorità che dovrebbe indurli a obbedire, senza costringerci ad alzare la voce o a ripetere le stesse cose, magari infinite volte. Ma da questo a dire che non dobbiamo mai rimproverarli, ce ne corre…
  • Il rimprovero deve essere un’eccezione
    Se il bambino viene continuamente rimproverato, paradossalmente è come se non lo fosse mai. Un atteggiamento da “troppo o nulla” dà gli stessi effetti. Ecco perché dobbiamo limitare i richiami alle occasioni che davvero lo meritano e imparare a contare fino a 100 per tutte le altre. Quindi come prima cosa impariamo a scegliere cosa merita il nostro intervento e cosa no!
  • Cerca di non urlare
    Un messaggio a voce alta spaventerà i bambini più piccoli, ma non avrà alcun effetto sui ragazzi più grandi. I bimbi, nel tempo, si abituano alle urla che non fanno loro né caldo né freddo. Peggio ancora… impareranno che la mamma strilla quando si sente debole e quindi se ne approfitteranno, rincarando la dose.
  • Evita le discussioni
    Dobbiamo essere brevi e concisi e andare dritto al cuore del problema: che cosa ci ha dato fastidio? Cosa c’è di sbagliato? Evitiamo di ritirare in ballo altri comportamenti sbagliati, allargando il discorso, ad esempio e “Sappi che non mi è piaciuto neanche…” o di riferirci a eventi già passati “Come l’altra volta quando…”. Evitiamo anche prediche o discorsi generali che ai nostri figli non interessano e che diluiscono l’efficacia di quello che diciamo.
  • Il tono giusto? Fermo e pacato
    Per tenere a bada la tensione e la stizza che ti stimolano, minaccia e poi mantieni una punizione ragionevole, ad esempio: va bene niente TV per una settimana. Se neanche questo sortisce effetti passa ai fatti: spegni il computer, sequestra il gioco elettronico o il cellulare. Capiranno che fai sul serio. Ma devi tenere il punto!
  • Critichiamo solo ciò che fa
    Deve sempre essere chiaro che quello che non va non è il suo modo di essere, ma il suo modo di comportarsi. Partendo da questo presupposto mordiamoci la lingua e teniamo a freno tutte le possibili espressioni offensive che sull’onda della rabbia e dell’impotenza possono sfuggirci come, ad esempio: “Sei uno stupido, non capisci niente, sei inaffidabile”. Proviamo, invece, a dire “Hai fatto una stupidaggine”, “Non mi ascolti, hai tradito la mia fiducia…”. E una volta sbollita la rabbia a provare a spiegargli, se non gli fosse chiaro, perché te la sei presa tanto o perché è grave ciò che ha fatto.
  • Dopo, mai tenere il muso
    Una volta esaurito il rimprovero, evitiamo di tornare sull’accaduto e di fargliela pagare assumendo un atteggiamento distante, sostenuto o offeso se non addirittura aggressivo. Questo disturba il nostro bambino molto più della sgridata in sé. Dopo aver chiarito, non mostriamoci emotivamente alterati; e se serve allontaniamoci fisicamente finché l’irritazione non sbollisce.

 

Migliorare i rapporti con i figli

VIVERE BENE CON I FIGLI ADOLESCENTI

La scena tipica è questa: due genitori, seduti davanti a uno psicoterapeuta, chiedono, esasperati e increduli, cosa sia successo ai loro ragazzi, ormai adolescenti.

Figli sempre scontenti e arrabbiati, che si ribellano a tutto e a tutti; che si chiudono nel proprio mondo tranciando ogni dialogo con gli adulti; che non hanno (o meglio sembrano non avere) il minimo interesse per il proprio futuro e, spesso, neanche per il presente; e che, soprattutto, non riconoscono più alcuna autorità né autorevolezza ai genitori. Non li considerano, non li ascoltano.

Li guardano distratti, come fossero petulanti e inopportune presenze, portatrici di “strane” richieste di studiare o, almeno, di rivolger loro la parola, ma a cui, al contempo, chiedono con intransigenza di fornire tutte le comodità della vita moderna, a partire dai supporti tecnologici. I genitori sostengono con forza di aver dato tutto ai figli.

Ma hanno anche dei dubbi: almeno uno dei due sente di avere delle responsabilità, anche se non sa bene quali. È stato troppo presente? O troppo assente? Li ha viziati? Ha messo troppe regole? O troppo poche? L’unica cosa certa è che entrambi non sanno più che cosa fare.

Il punto di svolta dei genitori

Andare dallo psicoterapeuta non è solo un segno di disperazione: spesso costituisce il primo vero gesto, condiviso da entrambi, per cambiare la situazione. Le sfuriate, così come i blandi tentativi di dialogo o le dure prese di posizione, non hanno alcun effetto. Quel che serve è comprendere la situazione e individuare la strada per uscirne. Ed è ovvio che la mentalità e le modalità consuete debbano essere abbandonate. Ciò non significa ricoprirsi di sensi di colpa per eventuali errori commessi, ma approdare a una nuova concezione dell’essere genitori, sia nel rapporto diretto con i figli, sia nell’educarli a un sano rapporto con il mondo esterno.

Gli errori più comuni:

  • Esibire ad amici e conoscenti l’insoddisfazione verso i propri figli.
  • Fare confronti con i figli di altri o creare fazioni.
  • Far sentire loro che i loro attuali limiti equivalgono al proprio fallimento.
  • Avere aspettative al di sopra delle loro possibilità.
  • Scoraggiare la loro naturale attitudine in nome di aspettative personali.
  • Stare troppo “addosso ai figli” con troppa presenza e troppa ansia.

Le soluzioni:

  • Non criticare e non svilire le loro passioni anche se non le capisci.
  • Fai loro sentire che sei curioso dei loro interessi e pronto a sostenerli.
  • Crea o ritrova dei momenti di condivisione con loro, per ritrovare unità e scambio.
  • Il gruppo aiuta l’identità dei figli: non contrastarlo di continuo.
  • Sovrintendi all’utilizzo della tecnologia, così che non sfoci in una dipendenza.

Cosa fare: breve libretto di istruzioni

  • Ritrova credibilità. L’autorevolezza genitoriale non si ritrova a suon diregole, di urlate o di minacce, né facendo “gli amici dei figli”, ma dando loro sani e appassionati esempi di vita. Hanno bisogno di vedere che siamo felici o almeno sereni e realizzati come persone, altrimenti non ci danno credito, non si fidano e ci vedono come dei falliti.
  • Fornisci messaggi univoci. Fin da piccoli i figli devono sapere che c’è un nesso tra le loro azioni e le conseguenze delle azioni stesse. Se li ricopriamo di regali e di comodità a prescindere dai loro comportamenti, non apprendono la capacità di attesa e di conquista e non sviluppano la giusta risonanza rispetto agli eventi. Inoltre, dopo una certa età, facciamoli partecipare alle decisioniimportanti della famiglia.
  • Utilizza un linguaggio costruttivo e incoraggiante. È fondamentale nonesasperare i contrasti e non alimentare la contrapposizione. Evitiamo perciò l’atteggiamento ipercritico, non pungoliamoli pensando di ottenere validereazioni, non facciamo proibizioni senza spiegarle adeguatamente.L’adolescente può accettare consigli e critiche solo se affiancate da un sentitoincoraggiamento.