MALATO IMMAGINARIO?

PSICOSOMATICA

Capita di sentirsi dire dai medici : ” alla luce delle visite e degli esami effettuati, lei non ha niente..sarà psicosomatico

Com’ è possibile, che non emerga nulla, quando in realtà il sintomo rimane: mal di testa, mal di stocamo , vertigine ecc

La medicina psicosomatica si occupa proprio in queste situazioni di confini, in cui fattori organici e psicologici si attivano e si intrecciano.

Occorre comprendere che in questi disturbi “senza causa“, esiste una componente di tipo psico emotivo. Non significa che sia l’unico motivo, ma alcuni stati di tensione psichica e di conflitto interiore o relazionale, attraverso il sistema neuro-immuno-endocrino, possono influenzare la funzionalità di alcuni organi o apparati.

Molte persone tendono ad ignorare i sintomi, una volta che visite ed esami abbiano appurato che non c’è nulla di patologico.

Ma si tratta di un errore.

  • Innanzitutto perché il fatto che non ci sia una spiegazione clinica ai sintomi non significa che non vi sia una causa, magari nascosta di natura psichico ambientale.
  • Infatti la presenza di sintomi indica che, comunque, il corpo è in difficoltà.
  • Fare finta di niente quindi rischia di peggiorare la situazione, sottoponendo l’organismo a una notevole stress e ponendo le basi per una maggiore organicità dei sintomi stessi. 

 Si ricorda che l’atteggiamento “del far finta” può essere, in diversi casi, la vera causa del sintomo, che vuole esprimere, con la sua presenza, la ribellione dell’intera nostra persona a un modo molto innaturale di trattare se stessi, oltre che irrispettoso dei propri limiti e caratteristiche.

Per uscire da questa situazione bisogna innanzitutto legittimarsi.

Il disturbo esiste, non è un’invenzione. Bisogna trovare il modo di curarlo, il fatto che le visite e gli esami non abbiano evidenziato nulla, significa che non c’è un danno organico .

Infatti esistono sintomi, che derivano da alterazioni funzionali spesso dovute a un sistema nervoso, immunitario e endocrino che lavorano al limite della norma, per così dire “al confine”.

Quindi basta poco per produrre dei sintomi ma anche per farli passare, in modo intermittente. In pratica ci sono situazioni in cui, finché un sintomo si manifesti, non occorre una causa riconoscibile.

Fondamentale riconoscerlo per avere una visione obiettiva della propria situazione.

Tali problematiche psichiche possono riguardare situazioni di vita specifiche: la coppia, relazioni parentali o amicali, oppure il rapporto con lo stile di vita, il lavoro. Possono scegliere nel corpo e alterare la funzione di un organo.

Possano usare lo schema simbolico racchiuse in quell’organo in quella funzione per dare forma al problema che viene trascurato.

LOMBOSCIATALGIA: Cosa fare?

LOMBOSCIATALGIA

Il dolore lombare è un gemito, a volte è un grido.

Una parte di noi che non riesce più a sostenere a sopportare qualcosa: un lavoro troppo pesante, una situazione problematica di tipo esistenziale, familiare, lavorativo a cui non ci si sottrae, di solito per un rigido senso del dovere o per un’incapacità di dire di “no”.

La tendenza a sottoporsi a sforzi eccessivi si associa spesso alla scarsa conoscenza dei propri limiti e a un abuso delle proprie risorse.

Vi è una percezione alterata delle forze, un atteggiamento portato al sacrificio basato anche sul senso del dovere eccessivo.

Il bel noto colpo della strega nasce da due possibili situazioni: un movimento maldestro in un momento in cui ci si dovrebbe fermare, nel secondo caso uno sforzo eccessivo, il sollevamento di peso, un insopportabile carico di responsabilità di cui non ci liberiamo per eccesso di zelo o di dovere.

La discopatia segue proprio un periodo di rigida e talora testarda sopportazione di eventi affrontati senza elasticità.

Il disco schiacciato (degenerazione discale) o che esce dalla sua sede (ernia) esprime la difficoltà a usare la flessibilità e l’adattamento. In generale, questo atteggiamento va a scapito del piacere. La libido si blocca nelle radici nervose deputati alla sessualità che escono in parte  proprio dalle ultime vertebre lombari.

Altre volte alla base del colpo della strega è presente una visione moralistica dell’eros. Le fantasie le pulsioni, per cui si cerca di difendersi con la contrattura dei muscoli lombari. Può essere anche un tentativo di controllare o gestire l’attrazione sessuale, per bloccare sul nascere una fantasia di tradimento.

Cosa fare?

Va cambiato l’atteggiamento: meno rigidità uguale meno sofferenza

1. Iniziare a rallentare.

2. È importante ricordare che il dolore non va eliminato con i farmaci, prima di sapere di che cosa si tratta,

L’ intervento principale sta nel modificare qualcosa nelle proprie abitudini la lombosciatalgia chiede di fermarsi quantomeno di rallentare: nei ritmi oppure nei modi, in uno o più ambiti deve vivere.

Assecondiamo tale suggerimento, individuando che cosa ci sta sovraccaricando negli ultimi tempi a che cosa vorremmo intimamente sottrarci.

3. Cerca il piacere. 

Vanno ritrovate delle parole chiavi: il rispetto e la complicità con se stessi, che nascono dalla conoscenza reale dei propri limiti e risorse.

Tuttavia, è necessario familiarizzare:

anche con le azioni semplicemente piacevoli, dimenticate, sganciate dall’utilità dalla produttività sociale e familiare.

IPERTENSIONE

IPERTENSIONE.

 IL SANGUE CHE PREME 

Un controllo mentale eccessivo mette l’organismo in una condizione di pressione interna. Il sangue, simbolo per eccellenza delle passioni, si fa portavoce.

LA PERSONALITA’ DELL’IPERTESO

Tutto o niente, senza sfumature: una modalità che porta in zona rischio.

Le persone ipertese hanno almeno tre fra le seguenti caratteristiche:

  • Tendono a un attivismo continuo,
  • Reagiscono con l’azione alle difficoltà della vita e ai problemi psicologici
  • Sono legate ad aspetti pragmatici e concreti dell’agire

In generale gli ipertesi tendono a nascondere le proprie emozioni:

Cercano di non commuoversi anche quando sono da sole.

Nei rapporti affettivi si aprono completamente oppure si chiudono totalmente: la modalità tutto niente si presenta anche quando cambiano idea su persone e situazioni.

Spesso l’iperteso testimonia un approccio maschile alla realtà, (intesa in senso simbolico, ricordando che tutti abbiamo una parte maschile e femminile). Predilige l’attività alla passività e appare come un soggetto sanguigno.

La parola chiave per comprendere la dimensione simbolica dell’ipertensione è controllo, meglio ancora ipercontrollo.

TRAUMA

L’IMMAGINAZIONE NELLA PSICOTERAPIA DEL TRAUMA

Il terapeuta chiede al paziente:

Di pensare ad un evento traumatico vissuto nel passato che ancora ha un impatto doloroso e limitante sulla vita quotidiana. 

1. Concentrarsi su un’immagine rappresentativa o dell’episodio nella sua interezza o nella sua parte più disturbante. 

2. Identificare un’affermazione che esprima una convinzione negativa o un’autovalutazione disadattiva associata  all’immagine.

3. Riferire ciò che sente a livello viscerale, corporeo.

 Una cognizione che rappresenta l’interpretazione che il paziente ha di se stesso nel momento attuale non una mera descrizione

Le cognizioni negative 

Quali sono le convinzioni auto svalutanti che possiede su se stesso in relazione all’ evento traumatico? 

Le cognizioni negative comprendono informazioni del tipo “sono cattivo, non valgo nulla, sono in capace di avere successo..”.

Vengono definite come un’autovalutazione che le persone fanno nel momento presente.

Quando il paziente richiama alla mente il ricordo di un trauma , il terapeuta potrà verificare il livello di disturbo sperimentato attualmente dall’individuo.

Se il paziente continua a vedersi in modo inadeguato , dimostra che il ricordo non è stato risolto.

Tali valutazioni sono gli obiettivi primari della terapia. Se un paziente ha difficoltà a verbalizzare una cognizione negativa può rivelarsi utile suggerirgli alcuni esempi che, secondo l’esperienza clinica, sembrano adattarsi bene al suo caso.

Ecco alcuni esempi: 

“non valgo nulla.. c’è qualcosa di sbagliato in me… sono una persona cattiva… sono sporca.. non sono degno damore… sono in pericolo.. sono impotente… non ho il controllo… non posso avere successo”. 

Le cognizioni Positive

La fase successiva sarà dedicata all’identificazione della cognizione positiva.

Con l’attribuzione di un punteggio da uno a sette da completamente falso a completamento del vero

Il punteggio sulla scala dovrebbe essere assegnato in base a quanto il paziente percepisca la cognizione positiva come vera e credibile non alla sua verità oggettiva.

Lo scopo dell’identificazione di una cognizione positiva desiderata è stabilire un punto di arrivo per la terapia, stimolare l’attivazione delle reti neuronali alternative adeguate e offrire al paziente una condizione di base per valutare i progressi fatti.

Ovviamente rappresentare una cognizione “positiva ma falsa” sarà inadeguata per un efficace rielaborazione con la terapia.

Al momento di sviluppare la cognizione positiva è bene insegnare al paziente a fare un’affermazione su di sé e che comporti un controllo interno.

I pazienti propongono spesso affermazioni relative a fenomeni che vanno aldilà del proprio controllo. È bene fornire ai pazienti degli esempi adeguati, mostrando come è impossibile assicurarsi della veridicità di asserzioni come “i miei figli devono stare sempre bene”. Oppure “Mi amerà per sempre “non è una cognizione positiva perché non è possibile un controllo sui pensieri e sulle azioni degli altri.

Cognizioni positive adeguate per esempio: “Sono in grado di gestire questa situazione, posso fidarmi di me stesso, posso agire in modo responsabile“. Infatti offrono al paziente una ridefinizione delle proprie capacità.

Per il raggiungimento di un senso di valore personale di equilibrio indipendentemente dalle forze esterne, senza rifugiarsi  nella razionalizzazione o in false speranze per il futuro.

Le cognizioni positive che possono essere ragionevolmente identificati sono affermazioni: “è una cosa che appartiene al passato, ho fatto del mio meglio, ora ho la possibilità di scegliere.” 

“Posso imparare da quello che è successo”, in questi casi il paziente si riconosce un livello adeguato di rischio e di responsabilità per i propri comportamenti passati e l’enfasi è posta sulle azioni presenti e future.

Aiutare i pazienti a identificare una cognizione positiva costituisce una fase importante della terapia. La capacità di sviluppare una prospettiva alternativa rispetto al trauma, esprimendo in un linguaggio ragionevole, offre una speranza di fuga dal dolore dall’autodenigrazione.

Se un paziente presenta difficoltà a verbalizzare una cognizione positiva è bene applicare  una delle seguenti affermazioni: ho fatto del mio meglio e qualcosa che appartiene al passato, ho imparato da ciò che è successo, al controllo, sono degno damore, sono una brava persona, ora la passività di scegliere, posso avere successo, sono in grado di affrontare la situazione, ora sono al sicuro.  

L’obiettivo della terapia: aiutare l’individuo a raggiungere una ridefinizione di sé in termini positivi.

Dopo aver elaborato il materiale disfunzionale più antico, la fase successiva del trattamento, si focalizzerà sull’associazione intenzionale della cognizione positiva alle informazioni che prima erano disturbanti.

Si lavorerà per incorporare la cognizione positiva all’interno delle reti mnestiche, contenenti il materiale da modificare. Quando l’informazione verrà elaborata,  riattivata, emergerà a livello cosciente in associazione alle cognizioni positive dominanti.

Tali connessioni, permetteranno a tutte le informazioni relative a risultati positivi di associare il materiale precedentemente traumatico.

ATTACCO DI PANICO IN AUTOSTRADA

PAURA DI GUIDARE IN AUTOSTRADA

Nella vita capita di imboccare strade che non ci convincono, ma andiamo avanti reprimendo la nostra contrarietà.

Così ci resta solo il malessere, per esprimere il dissenso.

Credo che il problema di attacchi di panico mentre si guida, si alimentano proprio dall’incapacità di dar voce alle proprie perplessità: sul lavoro, nel rapporto col proprio compagno, su se stessi.

L’autostrada, con il suo tragitto lineare e le carreggiate ben delimitate e senza vie d’uscite, ha proprio l’aspetto di quei percorsi obbligatori che ci auto-imponiamo. Mentre in città si può cambiare direzione facilmente . Il problema del panico non sono le strade, ma gli obblighi che abbiamo imposto alla propria vita.

Un colloquio con un psicoterapeuta potrebbe essere d’aiuto

RELAZIONI TOSSICHE

Motivi per soffrire, la realtà ce ne offre ogni giorno: lavori sottopagati, capi tirannici, partner inadeguati e amici assenti al momento del bisogno. Tutte ottime ragioni per stare male.

Dalla prospettiva dello psicoterapeuta, solo fino a un certo punto.

Le persone che vengono nel mio studio hanno sempre veri motivi per recriminare. La vita  non è stata loro amica. Spesso è stata decisamente ostile.

Certamente, un terapeuta non può aggiustarla ma può, gettare le basi per un futuro più libero, nei limiti di ciò che l’ambiente può offrire, per poter di nuovo sperare, progettare e creare.

Per riuscirci occorre accompagnare le persone fino a un certo punto preciso: all’acquisizione di una consapevolezza. 

 L’ostacolo più importante lo portiamo con noi. Anche se vengono offerti tutti gli strumenti più potenti che la psicoterapia moderna mette a disposizioni, magari utilizzati bene inizialmente, ma poi l’avversario interno tornerà a farsi sentire e senza grandi difficoltà riprenderà il sopravvento.

Convinzioni su di sé infondate.

Questo avversario interno si chiama schema interpersonale maladattivo.

Di cosa si tratta,  come  causa sofferenze e problemi che vanno oltre l’impatto della realtà?

Mi spiego con alcuni esempi. Valeria una manager di 29 anni mi racconta che:” ha dei rapporti con il capo anche se lei non è innamorata. Esploriamo le memorie remote ed emergono elementi importanti: ha perso il padre in adolescenza, dopo una lunga malattia. La madre diceva spesso che doveva farlo stare tranquillo, perché altrimenti avrebbe sofferto“.

Valeria interpreta la scarsa disponibilità del padre e i richiami della madre come: “io non sono amabile, la sofferenza dell’altro è causata da me stessa. Se lo faccio soffrire, mi abbandonerà.

Per proteggersi dall’abbandono, la ragazza ha sviluppato la tendenza ad essere compiacente, condiscendente, fino al punto da perdere il contatto con i propri desideri e la propria volontà. Questo modo di pensare si è cristallizzato. Valeria si rende conto che non lo applica soltanto al suo capo, ma in tutte le relazioni con persone per lei importanti che mostrano sofferenza. Fa di tutto per  accontentarli anche facendo cose a lei sgradite: non vuole che la abbandonino, altrimenti sarebbe la conferma di non essere amabile.

Nel corso della terapia, in pochi mesi è riuscita a prendere distanza da queste idee, capisce che l’idea dannosa di essere non amabile è un suo pensiero, non la realtà, riesce a mettere distanza tra sé e il capo. Valeria si è quindi resa conto che soffriva a causa di uno schema che prediceva come le sue relazioni interpersonali sarebbero andate a finire.

ACT : Processo terapeutico per creare una vita significativa.

L’ACT un intervento psicoterapeutico, ideato da Steven Hayes (2006). 

Alla radice, l’ACT è una terapia comportamentale: si tratta di agire. Ma non si tratta di un’azione qualsiasi. 

In primo luogo, riguarda un’azione guidata dai valori:

  •  Per che cosa vogliamo vivere la nostra vita? 
  • Quali sono i desideri più profondi rispetto a chi vogliamo essere ?
  • Che cosa vogliamo fare durante il nostro breve tempo su questa terra? 

L’individuazione di questi valori fondamentali consente:

  1. di guidare, motivare ed ispirare il cambiamento comportamentale. 
  2. In secondo luogo, riguarda l’azione consapevole,
  3. l’azione da intraprendere con piena consapevolezza,
  4. aperti all’esperienza e pienamente coinvolti nel qui ed ora. 

L’ACT prende il nome da uno dei suoi messaggi fondamentali:

accettare ciò che è fuori dal controllo personale ed impegnarsi nell’intraprendere azioni che arricchiscono la propria vita. 

Lo scopo è quello di aiutare a creare una vita ricca, piena e significativa, accettando il dolore inevitabile .

I sei processi fondamentali nell’ACT sono: 

  1. il contatto con il momento presente (essere qui adesso), 
  2. la defusione (osservare il proprio pensare)
  3. l’accettazione (aprirsi),
  4. il sé come contesto (pura consapevolezza), 
  5. i valori (sapere ciò che è importante
  6. e l’azione impegnata (fare ciò che conta) (Hayes et al., 2006). 

Tali passi non sono da considerarsi come processi separati.

Insieme portano alla Flessibilità Psicologica: piena consapevolezza e apertura all’esperienza, intraprendendo azioni guidate dai valori.

Allo sviluppo di tale abilità, ne consegue un graduale miglioramento della qualità di vita, è in grado di rispondere molto più efficacemente ai problemi e alle sfide che la vita porta inevitabilmente con sé (Harris, 2016).

Il protocollo ACT, nel perseguire gli scopi sopra citati, si avvale prevalentemente di tecniche esperienziali:

  1. esercizi di mindfulness,
  2. metafore
  3. richiede impegno e allenamento costante nella vita quotidiana.

Il protocollo basato sull’ACT si è dimostrato efficace nell’incoraggiare i pazienti ad accettare la realtà e compiere azioni in linea con i propri valori, piuttosto che rafforzare strategie di evitamento della sofferenza (Mathew et all, 2020). Tali evidenze, possono avere importanti implicazioni per la cura di pazienti con componenti di ansia, depressione e timore di recidiva nelle patologie oncologiche. Possono trarre benefici dal modello ACT.

Quando l’ansia diventa una normalità.

Impariamo a riconoscerla: ci aiuterà a riportarci in asse. 

Esiste un tipo di ansia sottile, cronica, che si confonde con il normale umore. Non viene quasi mai considerata ma è presente nella vita di molte persone .

  1. Ansia costante, fastidiosa, cronica, che vive sotto traccia per lungo tempo e apparentemente senza un motivo. 
  2. Un’ansia insidiosa, che sfugge alle classificazioni e alle diagnosi, innanzitutto perché chi la vive sembra essere abituato alla sua presenza e quindi non si allarma e non la segnala al medico. 
  3. Come se facesse parte della sua vita, quasi invisibile, eccetto in alcuni momenti nei quali di colpo si rende conto che invece esiste, ed è una presenza davvero scomoda. 

Facciamo un esempio: ” stai facendo la spesa in un market dove c’è poca gente e non hai alcuna fretta, in uno stato in apparenza tranquillità .Mentre aspetti alla cassa, ti accorgi allimprovviso di essere in ansia: la muscolatura è tesa,  sembra che debba cadere qualcosa che devi fare in fretta  o che qualcuno ti stia aspettando, anche se non è così. Non è un attacco dansia vero proprio, bensì uno stato dansia di cui ti rendi conto in quel momento. Altra scena sei con familiari o amici in una situazione conviviale tranquilla, in assoluta serenità. Ma un certo punto ti accorgi di una tensione interna, come una preoccupazione, come se ci fossero chissà quali problemi da affrontare, anche se in realtà non è così.

Consideriamo, che quest’ansia non arriva all’improvviso, ma è già presente. Se sei impegnato non la senti, mentre se sei in disimpegno, te ne accorgi. Implica una costante tensione emotiva di medio bassa intensità, che non ha bisogno di crisi acute per far sentire il suo messaggio. 

  • Sta segnalando un malessere, un fastidio.
  • Percepisci la fatica anche quando non dovresti farne, ti fa sentire preoccupato anche quando non lo sei. 
  • Sembra mandare in scena una sorta di scomodità, una postura psichica inadatta, un atteggiamento mentale sbagliato. 
  • Come se non riuscissi a stare nel presente, goderti il momento e rilassarti. 

Ritrova il tuo presente.

Come se ci fosse una discrepanza tra ciò che sei e ciò che riesci a essere, la tensione psicofisica esprime questa difficoltà posturale. 

  • Quest’ansia indica la modalità con cui stai affrontando la quotidianità, ti fa essere teso, scomodo, insicuro. 
  • Ti impedisce di essere a tuo agio lì dove ti trovi. Questo perché non sei concentrato
  • Sei troppo avanti col pensiero, proteso verso obiettivi futuri, in costante atteggiamento anticipatorio. Oppure sei troppo indietro, la rincorsa di parti di te che stai cronicamente trascurando, in costante atteggiamento di recupero. 
  • Ti manca, quindi un baricentro temporale: o troppo avanti o troppo indietro, ma il più delle volte tutte e due. Ciò che lasci indietro  andando troppo avanti, ma non riesce ad andare bene avanti perché ci sono cose rimaste indietro. 
  • Quindi un circolo vizioso che deve essere spezzato. Il baricentro va riportato nel presente. 

Scopriamo così che questa forma dansia un motivo ce lha, ed è anche molto raffinato: esprime un disequilibrio sottile, non spettacolare, ma proprio per questo difficile da vedere. Possiamo dire che senza questa tensione, forse non ci accorgeremo di nulla.

 Riscopri cosa conta per te

Quest’ansia scomoda, perciò è frutto della sapienza del sistema nervoso, che coglie la situazione interiore e di conseguenza, tende i muscoli come se il corpo fosse tirato un po’ avanti e un pò indietro. Dando come risultato una rigidità posturale che bene imita la controversa dinamica psichica.

  1. L’ascolto attento del sintomo, ancora una volta, ci aiuta a capire quello che sta succedendo e a impostare un orientamento terapeutico, rivolto verso un miglioramento della qualità della vita soprattutto della vita mentale.
  2. Dobbiamo fare un’attenta ricognizione della nostra scala di priorità e dell’attribuzione di significato agli eventi, perché evidente che esista ormai da tempo, un certo disordine. 
  3. Scopriremo, con una certa sorpresa, che nel nucleo più profondo di questo sintomo c’è una richiesta ancora più importante, quello di fare uno scatto nello sviluppo della personalità. 
  4. Percepire meglio cosa siamo e cosa non siamo.
  5.  Godere non solo dei momenti ufficialmente belli, ma anche del semplice esistere, dei momenti anonimi. Proprio come fare la spesa, rilassarsi con gli amici stare senza far niente. Un’ansia preziosa che, se risolta, si trasforma in gioia di vivere. 

Imparare a riconoscere i rischi per la salute

Rischi per la salute.

Uno stato di tensione e di allerta costante può favorire :

 

  1. Artrosi lo stato di tensione psichica costante riverbera in una tensione muscolare costante che nel tempo modifica la cartilagine articolare. 
  2. Problemi surrenali. L’attivazione continua dello stato di allerta può indurre surreni a produrre cortisolo in modo costantemente superiore alla norma. 
  3. Problemi alla tiroide. A forza di avere un metabolismo mentale troppo veloce, si finisce per influenzare anche quello fisico.
  4. Ipertensione arteriosa L’allerta costante richiede un maggiore afflusso di sangue al cervello, che richiede a sua volta un aumento della pressione.

LA GUIDA PRATICA

  • Sfoga gli eccessi di energia. Spesso questa forma d’ansia si accompagna un accumulo di energia fisica che non scarichiamo e in generale a una certa trascuratezza nella cura dello stato di forma dell’attività fisica. Da evitare assolutamente la sedentarietà. Assai utile impostare un programma anche solo di camminate giornaliere. 
  • Serve una riorganizzazione più prudente del tempo, che tenga conto della fattibilità e delle caratteristiche personali.  Non ci rendiamo conto che il programma della giornata della settimana e quindi lo stile di vita e ai limiti dell’impossibile e genera uno stato di stress continuo.
  • Aumenta le attività piacevoli. L’ansia cronica è costituita anche da un’energia psicofisica legata al principio del piacere. Un’energia che ha bisogno di prendere forma, nei modi a noi più adatti. Non commettiamo l’errore di pensare che tale energia possa essere troppo a lungo ignorata o trascurata, perché si farà comunque sentire , appunto come ansia.

Come superare il dolore di un abbandono

IL DOLORE PSICOLOGICO DELL’ABBANDONO

Il nostro occhio è troppo proiettato sull’esterno: “ Lui o lei mi ha lasciato, perché l’ha fatto? Non mi do pace?”

Aggrapparsi al passato ci rende vulnerabili e rende cronico il dolore.

 Ogni abbandono ripulisce l’anima e apre le porte a un nuovo inizio. 

La prima cosa da capire  è che quando veniamo lasciati, in realtà siamo noi che lasciamo un immagine di noi stessi che non è più funzionale. 

La sofferenza diventa  una fase naturale: 

  • Possiamo attivare uno sguardo interiore che percepisce i propri stati interni, facendo un vuoto senza giudicare. 
  • Altrimenti  il dolore continuerà a lungo, ciò che ci farà soffrire non sarà l’evento in sé, che è passato, ma l’orgoglio, cioè il nostro aggrapparci a quell’immagine di noi stessi ormai morta. 
  • Niente è per sempre. Tutto ciò che ci capita ha un valore funzionale. 

Anche l’abbandono: ha una funzione evolutiva, trasformativa.

Quando siamo ancorati alla nostra idea comincia l’inferno, perché rendiamo reale ciò che non è reale e nell’irreale non possiamo trovare soluzioni. Eppure la vita  è fatta di abbandoni: Il feto deve abbandonare la placenta iniziare a respirare poi camminare con le proprie gambe. 

L’idea di amore perenne è una malattia. Rendendolo permanente lo rendi artificiale. Impara a cedere. 

Chiediti :”Che rapporto era diventato se non ti sei nemmeno accorto che non gli piaci di più?” Vuol dire che il tuo sguardo era assente, era fissato altrove, sull’idea di un rapporto ideale. Quindi è una disperazione omologata. È una ferita del l’Ego. Ma è una ferita che prepara il prossimo sviluppo, se ci concediamo di accoglierla. 

Il dolore dell’abbandono arriva per spazzare via un identità che non ti appartiene, ti costringe a entrare in rapporto con le tue radici, con la parte di te che non vedi, che vive nel buio e ti crea. 

Se affidi la tua felicità a qualcuno ti perdi: l’abbandono ti fa riprendere in mano te stessa.

Se stai bene solo perché stare con qualcuno, allora si che c’è un problema!

 I disagi per fare il loro lavoro hanno bisogno della nostra resa. 

Non stai male perché lui ti ha lasciata, stai male perché il dolore in realtà ti libera da una relazione che ormai ti aveva stancato hai bisogno di trovare la tua nuova identità. Arrenditi e tutto inizierà a muoversi