Migliorare i rapporti con i figli

VIVERE BENE CON I FIGLI ADOLESCENTI

La scena tipica è questa: due genitori, seduti davanti a uno psicoterapeuta, chiedono, esasperati e increduli, cosa sia successo ai loro ragazzi, ormai adolescenti.

Figli sempre scontenti e arrabbiati, che si ribellano a tutto e a tutti; che si chiudono nel proprio mondo tranciando ogni dialogo con gli adulti; che non hanno (o meglio sembrano non avere) il minimo interesse per il proprio futuro e, spesso, neanche per il presente; e che, soprattutto, non riconoscono più alcuna autorità né autorevolezza ai genitori. Non li considerano, non li ascoltano.

Li guardano distratti, come fossero petulanti e inopportune presenze, portatrici di “strane” richieste di studiare o, almeno, di rivolger loro la parola, ma a cui, al contempo, chiedono con intransigenza di fornire tutte le comodità della vita moderna, a partire dai supporti tecnologici. I genitori sostengono con forza di aver dato tutto ai figli.

Ma hanno anche dei dubbi: almeno uno dei due sente di avere delle responsabilità, anche se non sa bene quali. È stato troppo presente? O troppo assente? Li ha viziati? Ha messo troppe regole? O troppo poche? L’unica cosa certa è che entrambi non sanno più che cosa fare.

Il punto di svolta dei genitori

Andare dallo psicoterapeuta non è solo un segno di disperazione: spesso costituisce il primo vero gesto, condiviso da entrambi, per cambiare la situazione. Le sfuriate, così come i blandi tentativi di dialogo o le dure prese di posizione, non hanno alcun effetto. Quel che serve è comprendere la situazione e individuare la strada per uscirne. Ed è ovvio che la mentalità e le modalità consuete debbano essere abbandonate. Ciò non significa ricoprirsi di sensi di colpa per eventuali errori commessi, ma approdare a una nuova concezione dell’essere genitori, sia nel rapporto diretto con i figli, sia nell’educarli a un sano rapporto con il mondo esterno.

Gli errori più comuni:

  • Esibire ad amici e conoscenti l’insoddisfazione verso i propri figli.
  • Fare confronti con i figli di altri o creare fazioni.
  • Far sentire loro che i loro attuali limiti equivalgono al proprio fallimento.
  • Avere aspettative al di sopra delle loro possibilità.
  • Scoraggiare la loro naturale attitudine in nome di aspettative personali.
  • Stare troppo “addosso ai figli” con troppa presenza e troppa ansia.

Le soluzioni:

  • Non criticare e non svilire le loro passioni anche se non le capisci.
  • Fai loro sentire che sei curioso dei loro interessi e pronto a sostenerli.
  • Crea o ritrova dei momenti di condivisione con loro, per ritrovare unità e scambio.
  • Il gruppo aiuta l’identità dei figli: non contrastarlo di continuo.
  • Sovrintendi all’utilizzo della tecnologia, così che non sfoci in una dipendenza.

Cosa fare: breve libretto di istruzioni

  • Ritrova credibilità. L’autorevolezza genitoriale non si ritrova a suon diregole, di urlate o di minacce, né facendo “gli amici dei figli”, ma dando loro sani e appassionati esempi di vita. Hanno bisogno di vedere che siamo felici o almeno sereni e realizzati come persone, altrimenti non ci danno credito, non si fidano e ci vedono come dei falliti.
  • Fornisci messaggi univoci. Fin da piccoli i figli devono sapere che c’è un nesso tra le loro azioni e le conseguenze delle azioni stesse. Se li ricopriamo di regali e di comodità a prescindere dai loro comportamenti, non apprendono la capacità di attesa e di conquista e non sviluppano la giusta risonanza rispetto agli eventi. Inoltre, dopo una certa età, facciamoli partecipare alle decisioniimportanti della famiglia.
  • Utilizza un linguaggio costruttivo e incoraggiante. È fondamentale nonesasperare i contrasti e non alimentare la contrapposizione. Evitiamo perciò l’atteggiamento ipercritico, non pungoliamoli pensando di ottenere validereazioni, non facciamo proibizioni senza spiegarle adeguatamente.L’adolescente può accettare consigli e critiche solo se affiancate da un sentitoincoraggiamento.

Quando richiedere una psicoterapia cognitiva ?

PSICOTERAPIA  COGNITIVA  INDIVIDUALE E DI COPPIA

La terapia cognitivo-comportamentale (TCC) è una psicoterapia sviluppata negli anni ’60 da A.T. Beck ed oggi adottata nella pratica clinica dalla maggior parte degli psicoterapeuti.
È una terapia:

  •  di breve durata: cambiamenti significativi sono attesi entro i primi sei mesi
  •  orientata al presente: è volta a risolvere i problemi attuali.

Inoltre è:

Scientificamente fondata: l’intervento clinico è strettamente coerente con le conoscenze sulle strutture e sui processi mentali desunte dalla ricerca psicologica di base. Inoltre, è stato dimostrato attraverso studi controllati che i metodi cognitivo-comportamentali costituiscono una terapia efficace.

La TCC, infatti, ha mostrato risultati superiori o almeno uguali agli psicofarmaci nel trattamento della depressione e dei disturbi d’ansia, ma assai più utile nel prevenire le ricadute.

Orientata allo scopo: il terapeuta cognitivo-comportamentale lavora insieme al paziente per stabilire gli obiettivi della terapia, formulando una diagnosi e concordando con il paziente stesso un piano di trattamento che si adatti alle sue esigenze, durante i primissimi incontri. Si preoccupa poi di verificare periodicamente i progressi in modo da controllare se gli scopi sono stati raggiunti.

Pratica e concreta: lo scopo della terapia si basa sulla risoluzione dei problemi psicologici concreti. Alcune tipiche finalità includono la riduzione dei sintomi depressivi, l’eliminazione degli attacchi di panico e dell’eventuale concomitante agorafobia, la riduzione o l’eliminazione dei rituali compulsivi o dei comportamenti alimentari patologici, la promozione delle relazioni con gli altri, la diminuzione dell’isolamento sociale, e cosi via .

Collaborativa: Paziente e terapeuta lavorano insieme per capire e sviluppare strategie che possano indirizzare il soggetto alla risoluzione dei propri problemi. La TCC è, infatti, una psicoterapia sostanzialmente basata sulla collaborazione tra paziente e terapeuta. Entrambi sono attivamente coinvolti nell’identificazione e nella messa in discussione delle specifiche modalità di pensiero che possono essere causa dei problemi emotivi e comportamentali che attanagliano il paziente.

Essa è finalizzata a modificare i pensieri “distorti”, le emozioni “disfunzionali” e i comportamenti “disadattivi”, producendo la riduzione e l’eliminazione del sintomo e apportando miglioramenti duraturi nel tempo.
La TCC è un terapia adatta al trattamento individuale, di coppia e in gruppo, e funziona a prescindere dal livello culturale, la condizione sociale e l’orientamento sessuale del paziente.
La psicoterapia cognitivo-comportamentale, come suggerisce il termine, combina due differenti forme di terapia:

LA PSICOTERAPIA COMPORTAMENTALE,
che aiuta a modificare la relazione fra le situazioni che creano difficoltà e le abituali reazioni emotive e comportamentali che la persona mette in atto in tali circostanze, mediante l’apprendimento di nuove modalità di risposta e l’esposizione graduale alle situazioni temute con il fronteggiamento attivo degli stati di disagio.

LA PSICOTERAPIA COGNITIVA,
che aiuta ad individuare certi pensieri ricorrenti, gli schemi fissi di ragionamento e di interpretazione della realtà, che sono concomitanti alle forti e persistenti emozioni problematiche vissute dal paziente, a correggerli, ad arricchirli, ad integrarli con altri pensieri  più funzionali al proprio benessere.

Il cambiamento dei contenuti e dei processi cognitivi problematici (convinzioni, valutazioni, aspettative, emozioni, distorsioni cognitive, ecc.) non viene perseguito, quindi, soltanto mediante la discussione e la riformulazione delle convinzioni disfunzionali dei pazienti, bensì mediante numerosi e variegati metodi d’intervento, diretti non solo agli aspetti cognitivi del funzionamento dell’individuo, ma anche a quelli specificamente emotivi e comportamentali.
La TCC è attualmente considerata a livello internazionale uno dei più affidabili ed efficaci modelli per la comprensione ed il trattamento dei disturbi psicopatologici.
A cura della Dr.ssa Nicoletta Gussoni

Cos’è la psicoterapia breve?

Di cosa si tratta?

 

Non vuol essere una psicoterapia né una psicoanalisi, ma un supporto nel portare equilibrio in famiglia, sul lavoro….nella vita di tutti i giorni

Caratteristiche:

  • Si attua in tempi brevi (6/10 incontri, massimo 20)
  • In ambiti specifici (sanitario, scolastico, lavorativo)
  • Per problemi contingenti e con obiettivi ben definiti
  • Potenziamento e/o riscoperta delle proprie risorse
  • Fare chiarezza rispetto alle situazioni fonti di malessere
  • Miglioramento delle proprie capacità di entrare in relazione con se stessi e con l’altro
  • Favorire la competenza di problem solving e presa di decisione

 Potremo ritrovare l’incontro tra l’anima dell’uomo e l’anima del mondo (J. Hillman)
una psicoterapia breve che ci mette in condizione di ricontattare la nostra wilderness interna, nel senso di natura incontaminata: istinto, spontaneità e gioiosità andate perdute nella routine e nella meccanicità quotidiana insieme all’essenza stessa della dell’individuo, inestricabilmente legata al mondo e all’universo

PSICOTERAPIA BREVE  PER  USCIRE DA UNA DIPENDENZA AFFETTIVA

La dipendenza  affettiva colpisce maggiormente il sesso femminile e la causa principale è la scarsa considerazione che si ha di se stessi. Si idealizza una persona, normalmente dell’altro sesso) che corrisponde a certe caratteristiche  ritenute affascinanti.

L’idealizzazione è nutrita dalla speranza di modificare la propria immagine negativa proprio attraverso la costruzione  di  una relazione amorosa con questo “qualcuno” che riteniamo superiore.

In un secondo momento , pur di mantenere questo  legame, si è disposti a fare qualunque cosa, infatti l’idea della perdita dell’oggetto d’amore è inaccettabile perché genera una sensazione di morte e disperazione.

In realtà la persona dipendente non si rende conto che è proprio il suo comportamento debole e sottomesso a distruggere la poca stima che si possiede ed mina lentamente la volontà decisionale.

Più si accettano comportamenti degradanti  più ci si degrada e più ci si sente una nullità, più si manifestano comportamenti degradanti. E’ una spirale  difficile da sbloccare.

Il soggetto dipendente non si rende conto che si chiude in una gabbia che non solo si auto-alimenta, ma immobilizza completamente ogni elemento costruttivo della propria personalità. Chi vive questa condizione regredisce ad uno stadio di totale mancanza di dignità, sentendosi  indegno e paralizzato.

Fondamentale è chiedere un sopporto psicologico (counseling) che accresca la propria stima e considerazione.

PSICOTERAPIA PSICOSOMATICA PER  GESTIRE LA RABBIA

Il rancore può modificare il corpo
I moderni studi di neurofisiologia ci hanno dimostrato che i rancori sono pericolosi perché attivano parti del cervello (ipotalamo,ipofisi) da dove scatta il processo di materializzazione attraverso gli ormoni (catecolamine). I rancori diventano materia dentro di noi e producono patologi

Quando tratteniamo la rabbia, si smarrisce la sua funzione, presente in quel preciso momento. Rischiamo di somatizzarla e farla diventare una malattia. Mentre lo scontro diretto appartiene al tempo dell’immediatezza, il rancore si prolunga: per questo è così pericoloso per il corpo, lo tiene in continuo stato di stallo. Rimuginiamo, interpretiamo,spieghiamo e giustifichiamo ogni cosa. Con il risultato che la rabbia è sostituita dal sentimento del rancore, che in realtà miete molte più vittime della rabbia.
Sfogarsi, falsa soluzione
Anche chi si arrabbia spesso non è in pace, ha la visione “accecata”: l’aggressività prende il sopravvento e prorompe anche per questioni futili. Finisce per impregnare il cervello e il corpo delle sostanze della collera, come chi trattiene. Arrabbiarsi diventa come una droga. Se non liberiamo una nuova scarica d’ira siamo come in crisi d’astinenza.

La rabbia non va trattenuta né sfogata, va osservata senza giudizio. Così l’emozione si trasforma in consapevolezza e guida la nostra crescita interiore
Per star bene dobbiamo continuamente “disidentificarci”, ovvero distinguere noi stessi dalle emozioni. Quando ci identifichiamo con un impulso, ci limitiamo e ci paralizziamo.
Ad esempio se ammettiamo “io sono arrabbiato”, siamo dominati e travolti dall’ira. Se invece, nelle stesse condizioni diciamo : “Non è qualcosa o qualcuno a farmi arrabbiare, come credo a prima vista, ma è un onda di rabbia senza volto che mi sta attraversando… Mi arrendo, l’accolgo e la guardo come si guarda un panorama in cui i confini si perdono. Così la rabbia diventa infinta e divina… e’ la rabbia del mondo, il Dio della rabbia che mi sta visitando”. Questo processo attiva una “magia” che trasforma l’emozione in evoluzione interiore: invece di sfogarsi o di venire trattenuta ma si traduce in intuizioni, consapevolezza, idee, soluzioni cui non avevi pensato